Testi Critici

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"Quale sarà la direzione presa da Ulisse?"

di Marco Cangiotti (1994)

La genuinità-profondità artistica di Paolo Soro credo che possa essere tutta svelata, e anche ben detta, in un'unica osservazione che si impone di fronte alle sue opere: in esse è rappresentata una esplicita e consapevole metafisica della spazialità. Non sembri un ossimoro questa definizione, e ancor meno un impoverimento reciproco dei due termini accostati, essere e corpo; infatti, nella misura in cui l'arte figurativa - a differenza da quella poetica e da quella musicale - è rappresentazione per immagini, la sua essenza costitutiva è proprio quella data dal connubio dell'essere con lo spazio. Solo che, spesso e soprattutto nell'arte contemporanea, questo necessario incontro è dettato dall'oggetto stesso in una più o meno evidente inconsapevolezza del soggetto, dell'artista, mentre nel caso di Paolo Soro la stessa necessaria forma dell'impresa figurativa diventa tematica, ossia dominata, voluta, pensata dall'artista, che così si rivela pienamente consapevole del proprio gesto. Metafisica della spazialità: come dire che la convinzione profonda di questa opera scultorea, convinzione che la genera e che, allo stesso tempo, in essa si manifesta, è tutta racchiusa nella tesi che il corpo sia l'involucro adatto dell'essere, il luogo stesso in cui questi trova efficace espressione e gloria. La gloria della bellezza certo, ma di quel tipo assoluto di bellezza che risiede nel fatto stesso di avere una forma visibile, carnale, materiale. In questa bellezza non c'è spazio per nulla di laido, e così tanto l'amore quanto il dolore, tanto il trionfo quanto la pena, possono essere accolti come portento dell'essere. E' evidente che la teologia che innerva tutto ciò è una teologia della creazione con quella sua sanzione definitiva data dalla teologia dell'incarnazione. Nella creazione l'essere assume lo spazio, lo elegge a propria attualità, e non se ne pente: valde bona ! Nella incarnazione l'essere riassume di nuovo lo spazio per sottrarlo al nemico che l'insidia: Quid quaeritis viventem cum mortuis ? non est hic, sed surrexit. Ma c'è un di più, e va detto. Nelle sculture di Paolo Soro il corpo che letteralmente domina è il corpo umano, e anche la dove esso pare assente - vedi L'Arca o La Cattedrale - è in realtà presente nella sua forma che direi non immediata ma culturale. E ciò non è casuale, ma è un prodotto del gusto, inteso nella sua piena accezione kantiana di giudizio oggettivo che però riguarda la storia, la dimensione morale e non quella naturale, a cui pensa la scienza. Il giudizio o il gusto di Paolo Soro individua nella persona umana il paradigma della metafisica della spazialità, perché in essa l'incontro fra l'essere e il corpo è del tutto adeguato in virtù della consapevolezza, o se si vuole del perfetto sinolo che qui si realizza: lo spirito che si riunisce alla carne. Qui, in questo sinolo perfetto si ha il frutto maturo dell'incontro, a cui abbiamo da sempre dato il nome di storia. E piene di storia sono le figure di Paolo Soro, nella felice invenzione di rappresentarle tutte, senza esclusione di alcuna, impegnate in un atto. Sono tutte figure che agiscono, che si muovono e con ciò ci dicono che la metafisica della spazialità non è statica, ma storica ossia altamente dinamica, in actus essendi, e quindi anche libera, aperta alle opposte direzioni. Per questo, il tutto si carica della drammaticità, della domanda aperta che solo la libertà pone in essere veramente, perché il legame può essere spezzato, perché sempre la morte è in agguato, e così diventa decisivo chiedersi, ogni volta chiedersi: ma quale sarà la direzione presa da Ulisse ?