COMMENTO SU ALCUNE OPERE



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"Città Sommersa"

È cosa inusuale per me commentare i miei lavori; ho ritenuto comunque fare particolare eccezione per alcune opere che, pur comprensibili nel loro aspetto, certamente avrebbero acquistato maggior fruibilità con il sostegno non tanto di una mia personale interpretazione a ciò che l'opera stessa già rappresenta, quanto di citazioni bibliche e del Magistero della Chiesa, a cui io stesso ho fatto riferimento per l'ideazione delle stesse. "Città"...luogo nel quale si manifesta la vita sociale; "Sommersa"... sotto il livello del mare, al di sotto della vita umana donata nella sua naturalità non vi sono condizioni in cui l'uomo si sviluppi normalmente. Nel sottosuolo della città sociale, nella città sommersa dei drammi , dei vizi, della violenza.... la vita è soffocata, anche nella sua semplice manifestazione. "Città Sommersa", un luogo di "vita asociale" non visibile alla coscienza, impastata di solitudine e incomunicabilità. Ma non solo la nave nella tempesta ha il suo faro di riferimento che può dargli la salvezza; al di sopra del livello del mare, nella "Città non Sommersa" si erigono i fari, molti simili fra loro (miti del loro tempo), solo in uno vi è una sposa che non ha scordato l'olio della sua lampada (Mt 25,1) , non ha appiattito il suo sguardo e il suo aspetto, comunque luce sulla costa, per il pescatore che deve aspettare, per i figli che deve partorire. La "Città Sommersa" è stata realizzata con l'idea di rappresentare la presenza della Chiesa nella società, o meglio, in quello che io vedo essere presenza. In questa scultura la Chiesa, in atteggiamento di accoglienza (1Cor. 10,32-13,1) è stata rappresentata con l'aspetto di una donna, sposa e madre (Atti 20,28 - Mt 25,1) con il grembo gravido, ma aperto come una finestra, un "rosone", attraversabile dalla luce (Ef 5,14) e con in mano un bastone che vibra alto come una bandiera o un "faro" (Mt 25,1). Tutta la scultura è stata modellata a struttura ramificata, con delle forme che si sviluppano verticalmente in alto o in basso da un tronco orizzontale. Questo tronco crea come un confine fra la sua parte inferiore e quella superiore. In quella inferiore vi è un volume piatto che si erige verticale con, nel lato frontale, delle figure umane rappresentate nell'atto di arrampicarsi (1Cor 12,31) , mentre nel lato posteriore vi sono immagini di sofferenza umana (cfr. Salvifici Doloris) . Seguendo l'ascesa verso l'alto, sulla stessa traiettoria verticale vi è il "faro" che illumina gli "scogli" (cfr. Veritatis Splendor cap.II,54; Redemptor Hominis, cap.3; Redemptoris Missio cap.5) . Ma quel "faro" non è l'unico edificio a porsi come salvezza del naufrago (Dt 13,2; Ger 23,16; Mt 7,15) , ecco più appariscenti, ma meno "identificabili" perchè non hanno "luce" né propria né riflessa, e non hanno neppure bandiere alte che sventolano nella "Brezza", ecco pale, come di mulini, muoversi nel vento per i "Donchisciotte" dell'umana illusione.
Giugno 1996


"L'Arca" e "L'Emigrato"

Nell'Arca, simbolicamente, vi sono rappresentati tre elementi importanti: l'uomo, lo Spirito Santo e Dio. Un'opera come "l'Arca" nasce dalla quotidianità, cioè dalla consapevolezza che questa quotidianità determini l'insieme della vita e della persona. Cos'è per me il quotidiano..? E' il confronto continuo con se stessi e con l'appartenenza a Dio, cioè operare riconoscendo che non ci autotrasportiamo con le nostre stesse forze (nonostante innumerevoli fatiche). Ho voluto rappresentare questa quotidianità come una barca, dove l'uomo prende posizione, si lascia trasportare e determinare (pur non mancando di volerla governare a proprio piacimento) l'arca è lo Spirito Santo e l'ala che timona il tutto è DIO. Allegoricamente siamo tutti nella stessa "arca", così ho voluto simboleggiare all'interno di questa tre figure; l'uomo è ritratto in tre aspetti diversi, (pur simili fra loro), tre immagini particolari, con le braccia rivolte verso l'alto, ma con una parziale differenza: la più lontana dal Timone è legata, (non ha la libertà dello spirito e crede di avere quella del corpo) la più vicina, pur nella imperfezione, ne assume un'assomiglianza e una libertà, (il Santo), la figura centrale è una via di mezzo fra le due figure estreme, ma tutte tre le figure sono rivolte verso l'alto, tutte hanno un senso religioso, cioè hanno una domanda sul proprio bisogno, sulla propria esistenza. Credo che ognuno di noi sia comunque e inevitabilmente trasportato dal proprio destino, la differenza è il come ci si pone di fronte ad esso. Il Destino dell'uomo diventa la sua speranza e la sua domanda nella scultura "La nostalgia di Tommaso", figura emblematica, che chiede e che dà con un braccio quasi teso attraverso una Finestra che lo abbraccia, che gli permette uno sguardo aperto al mondo, al futuro. Il cammino verso il futuro diventa penetrante e legato alla propria storia nella scultura "Autoritratto", dove lo sguardo teso verso il dopo non discosta il proprio essere da ciò che viene prima, in un prolungamento della propria mente, del proprio spirito, del proprio corpo, in un'unico dinamismo. Se tutto tende al dinamico nell'"Autoritratto", invece nella scultura "L'Emigrante", tutto diventa quasi un fardello, ormai colmo di storia e di tradizioni, di memorie legate alla vulnerabile materia terrena, in un sofferto cammino, dove lo spirito dell'"Autoritratto" si unisce al corpo dell'"Uomo che cerca se stesso". L'uomo che cerca se stesso passa attraverso mille frammenti, ["Figura Paterna", "Figura Materna", "Ulisse", "Don Chisciotte", "Portatrice di Doni", "Donna Carriola", "Mendicante Offerente", "...], molteplici identità racchiuse in un'unica più grande, l'Uomo creatura.